Il Cielo del Momento

LA CONGIUNZIONE DI GIOVE E NETTUNO IN PESCI


Ciao a tutti! Come state? In questi giorni si parla moltissimo, e a ragion veduta, della rarissima congiunzione tra Giove e Nettuno in Pesci, e mi sembrava giusto dedicarle un approfondimento. Iniziamo dicendo che la congiunzione tra Giove e Nettuno, di per sé, non è affatto rara perché i due pianeti si danno appuntamento nel cielo ogni dodici anni circa. È il fatto che si congiungano in Pesci che rappresenta invece un elemento di grande importante, per due ragioni. La prima: perché accade ogni 165 anni circa e infatti l’ultima volta è accaduto nel 1856 (per la precisione, il 17/18/19 marzo 1856). La seconda: perché entrambi i pianeti – Giove e Nettuno – governano il segno dei Pesci, nel quale esprimono al meglio la loro potente vocazione alla spiritualità e alla trascendenza. 

Prima di andare oltre, però, vale la pena di parlare del significato di Giove e, ancor prima, di Nettuno, uno dei pianeti più belli e meno facili da mettere a fuoco. Del resto, è il pianeta del sogno, e cosa c’è di più evanescente e sfuggente? È il pianeta dell’Ottocento, il secolo del Romanticismo, del sacrificio per gli ideali più elevati. Il secolo della nascita della Croce Rossa e del concetto di “beneficienza”, dell’invenzione della fotografia e di molte altre rappresentazioni artistiche (e, al contempo, illusorie) della realtà. L’elenco dei valori dell’Ottocento potrebbe andare avanti all’infinito, e in molti di essi troveremmo dei comuni denominatori simbolici: la fuga da una realtà troppo legata alla materia, ed il desiderio di trascendenza. Un desiderio di dissolvere i confini che ci definiscono, per riconnetterci ad un’entità spirituale più elevata. 

Che si tratti di riconnetterci a Dio, ad un cosmo di cui facciamo parte, ad un grembo materno dal quale siamo stati strappati senza che ci venisse chiesto il permesso, i valori di Nettuno indicano un profondo desiderio di redenzione e di elevazione. Mettiamola così: se è vero (come diceva Pennacchi) che siamo luce che gioca a sporcarsi con la materia, Nettuno è quella parte di noi che aspira a tornare alla luce. Aspira a dissolvere i confini che ci separano, primo tra tutti quello dell’ego che porta a dire “io” e a mettere il resto del mondo in un’opposta metà campo. O che porta a dire “mio” e a spingere l’uomo ad arraffare tutto ciò che può. Nettuno è sfuggente, proprio come il “sogno” che definisce e come l’utopia degli ideali che incarna. 

E’ evidente che, finché vivremo su questo piano di realtà, certi confini non li potremo mai eliminare del tutto. Potremo creare le relazioni di condivisione più profonde, ma non potremo mai “fonderci con l’altro” eliminando il confine “dove finisco io e cominci tu”, per utilizzare le parole di “Inventi” di Renato Zero. Non potremo mai, dicevo, ma ciò non toglie che quell’anelito e quell’aspirazione abbia comunque una grandissima importanza. Da questo punto di vista, infatti, Nettuno è come il Sacro Graal: nessuno potrà mai metterci le mani sopra, ma la sua ricerca muove ed eleva gli animi. E ogni volta che l’uomo guarda più in alto, in cerca di risposte che sul piano materiale non potrà mai trovare, sotto sotto c’è Nettuno di mezzo. Sono risposte che probabilmente finché siamo “qui” non avremo mai, ma l’importante è cercarle. 

In questo senso Nettuno è un simbolo di elevazione, di desiderio di trascendenza, è la consapevolezza che sotto sotto siamo tutti parte di una stessa “sostanza”, che su questo piano di realtà appare frammentata ma che, ad un livello più alto, conserva una radice comune. È la consapevolezza che “mors tua, vita mea” è un controsenso esistenziale perché siamo tutti cellule dello stesso corpo. Allo stesso tempo, però, Nettuno può essere anche un simbolo di confusione, di perdita del contatto con la realtà, di smarrimento della direzione. Sempre perché, finché stiamo “qui”, dobbiamo cercare il nostro personale equilibrio tra sogno e realtà, tra spirito e materia: non dobbiamo restare ancorati “a terra”, ma non possiamo neanche “volare via”. Perdersi troppo nel sogno, nell’immaginazione, nella fantasia significa perdere il contatto con questo piano di realtà. (continua)

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