Il Cielo del Momento

LA CONGIUNZIONE DI GIOVE E NETTUNO IN PESCI


Ecco perché Nettuno è così importante: perché rappresenta un contraltare al materialismo, alla concretezza, alla logica e ci insegna che non esiste solo la materia. Non esistono solo l’F24, la cedolare secca, le indicazioni stradali, le scadenze e i cavilli legali. Esiste anche l’anima. Esistono l’empatia, la compassione, il senso di appartenenza, la fantasia, il senso del divino, l’immaginazione, la ricerca di qualcosa di più elevato. Esiste questo e quello e uno dei compiti più ardui dell’uomo è trovare un proprio punto d’incontro tra i due piani. E allo stesso tempo uno dei rischi più grandi è identificarsi con uno dei due, rifiutando interamente l’altro. 

Come dicevo prima, Nettuno è uno dei governatori dei Pesci, un segno con il quale ha molto in comune e nel quale esprime al meglio questo suo desiderio di redenzione e di riconciliazione con il creato. L’altro governatore dei Pesci, invece, è proprio Giove che nello Zodiaco ha l’effetto di un “amplificatore”. Giove allarga, accresce, moltiplica ciò che tocca. E in questo segno, racconta proprio la parabola della “moltiplicazione dei pani e dei pesci”: credere in qualcosa di più, dare agli altri senza l’aspettativa di un tornaconto crea un circolo virtuoso, permette alle energie di circolare e di amplificarsi. 

Ogni 165 anni circa, dicevamo, questi due pianeti si incontrano di nuovo “in casa loro”, nel regno dei Pesci, l’ultimo segno dello Zodiaco, quello che maggiormente risuona con questa loro vocazione alla spiritualità e alla trascendenza. E la congiunzione segna innanzitutto un momento in cui avvertiamo alla massima potenza un senso di connessione al cosmo e, allo stesso tempo, un senso di repulsione verso tutto ciò che lo “avvelena”. La guerra, senz’altro, la violenza, la separazione, ma anche la mancanza di rispetto verso l’ambiente, verso chi soffre. I Pesci sono il segno più sensibile e ricettivo dello Zodiaco. Non hanno la corazza, non hanno il carapace e neanche la pelle coriacea di un elefante. Hanno le squame, sentono tutto amplificato. E la congiunzione di Giove e Nettuno in Pesci ci trasforma un po’ tutti, chi più chi meno, in “spugne emotive”. Diventa più difficile voltarci dell’altra parte, chiudere la porta in faccia ai mali del mondo.

Ma ancor prima, la congiunzione di Giove e Nettuno in Pesci rappresenta il punto d’inizio di un nuovo ciclo, destinato poi ad andare avanti per i prossimi 165 anni. Prendiamo il testimone dal ciclo precedente, quello iniziato nel 1856 che dovrebbe averci insegnato tanto. L’orrore delle grandi guerre del Novecento, ad esempio, e la cecità delle politiche di conquista. Dovrebbe averci insegnato l’uguaglianza, l’inclusione, il rispetto e la valorizzazione delle minoranze, temi ai quali siamo molto attenti negli ultimi tempi, ma è un’attenzione che ha un prezzo molto alto perché è passata attraverso il sacrificio di chi, in passato, è stato discriminato o calpestato. Dovrebbe averci insegnato il rispetto per l’ambiente, per il solo fatto che ne facciamo parte e che prima o poi respireremo l’aria che abbiamo inquinato. Anche qui, ce l’ha insegnato a caro prezzo, mostrandoci le ferite di un pianeta avvelenato. 

In un modo o nell’altro, il ciclo che si conclude adesso ci ha lasciato con qualcosa in più e con qualcosa in meno rispetto all’umanità del 1856. Siamo più evoluti, forse più sensibili, ma abbiamo anche molti più modi per nuocere all’organismo di cui facciamo parte. Abbiamo armi più potenti, agenti inquinanti più pericolosi, ambizioni più rapaci – probabilmente il rovescio della medaglia della nostra evoluzione – e deve crescere di conseguenza anche la saggezza con cui usiamo questo “progresso”. Il ciclo che inizia adesso deve tenere conto di tutto questo, deve fare tesoro di ciò che ha imparato (anche a costo di amare lezioni) e non ripetere certi errori. 

La congiunzione, l’inizio di un ciclo, ha spesso la capacità di mostrarci in modo amplificato i temi forti del ciclo che sta per iniziare. E a me viene in mente questo: negli ultimi 165 anni abbiamo imparato a ragionare “per confini”, per compartimenti stagni. Probabilmente era ciò che serviva in quel momento storico, visto che parliamo di una congiunzione avvenuta alla vigilia dell’Unità d’Italia e della guerra di secessione americana. Ma oggi questo ragionare per confini deve lasciare spazio ad un maggiore senso di appartenenza ad un tempio comune. Gli ultimi anni ci hanno insegnato che alcune emergenze se ne fregano dei confini, arrivano ovunque. Gli ultimi mesi ci hanno insegnato che la paura ci attraversa tutti, anche quando si parla di questioni apparentemente lontane da noi. Perché oggi – e questo è il vero seme di questo ciclo che inizia – non c’è niente che si possa definire “lontano da noi”. (continua)

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